Qui si racconta che...
Saggio è chi sa bere
Alla celebrazione del succo della vite che cancella il dolore, i testi antichi affiancavano ammonimenti per un consumo responsabile, che tornano utilissimi di questi tempi. Lo stesso Dioniso invitava a seguire la regola dei “tre bicchieri”: uno per la salute, uno per l'amore, uno per il sonno. Mai andare oltre, fino alla follia
Solo il vino distingue gli uomini civili dai barbari. Solo i selvaggi o i mostri ignorano la gioia raffinata del simposio, quando, dopo la cena, ci si riunisce per bere, per cantare poesie, per raccontarsi storie e per condividere le gioie della vita. Era quello che pensavano gli antichi greci, come testimonia già l'Odissea. Qui, il mondo dei Ciclopi, per esempio, rappresenta lo stato primitivo dell'esistenza, il grado zero della vita civile.
I Ciclopi non hanno leggi, non conoscono assemblee, vivono ciascuno rintanato nella propria caverna. Ma, soprattutto, il loro carattere primitivo è rimarcato dal fatto che ignorano il vino. E così Odisseo può far ubriacare Polifemo, con l'otre di vino che si portava appresso, e poi, mentre il mostro dorme, piantargli un palo rovente nell'unico occhio.
Polifemo non sa come si beve il vino. Lo tracanna a garganella, in modo smodato, senza tagliarlo con l'acqua, come usavano fare i greci. Essere civili, infatti, significa non solo coltivare la vite e saperne ricavare il succo, ma anche essere capaci di bere in modo sensato. Se un aristocratico greco capitasse oggi in un “after hour” o in una discoteca, probabilmente metterebbe mano alla spada. Gli parrebbe di essere finito in mezzo ai barbari orientali della Scizia, che bevono smodatamente «tra urla e clamori», come diceva il poeta Anacreonte.
Non che i simposi greci fossero sempre ordinati e composti: chi ha letto il Simposio di Platone ricorderà il tumultuoso ingresso del bellissimo Alcibiade, ubriaco perso, il quale caccia via i servi che vorrebbero fermarlo perché l'ora è ormai tarda. Ma i greci sapevano che il vino era un dono degli dei: era stato regalato agli uomini da Dioniso, il signore dell'ebbrezza. E, come ogni dono divino, aveva una natura ambigua e poteva anche essere pericoloso.
Per questo andava smorzato con l'acqua. Il vino puro poteva, infatti, trascinare nella dimensione più inquietante del mondo dionisiaco, quella della follia, rappresentata da un demone, Akratos, letteralmente “il (vino) non mescolato”, il cui volto allucinato era scolpito nel muro del santuario di Dioniso ad Atene, vicino al teatro.